
Tomba Domenico Tiburzi
In una Maremma afflitta dalla miseria e dalla malaria trovarono ampio consenso tra la popolazione i briganti: si trattava di contadini scontenti delle leggi, ritenute poco giuste nei loro confronti, che lottavano per i loro diritti, e per questo costretti alla fuga e a darsi alla “di macchia”.
A seguito dell’Unità d’Italia, infatti, vennero abolite le leggi del Granducato di Toscana, che consentivano ai contadini di sopravvivere raccogliendo legna nei boschi, pescando nei fiumi e nei torrenti e di raccogliere le spighe cadute dopo la mietitura (spigolare). Migliaia di contadini si trovarono quindi improvvisamente bollati come fuorilegge o costretti alla fame.
Fra questi il più famoso è Domenico Tiburzi, parte inscindibile della storia e dell’animo di Capalbio. Nacque nel 1836 a Viterbo, già dai sedici anni ebbe a che fare con la giustizia per piccoli furti che accompagnarono la sua vita fino al 1876, quando fu sorpreso a raccogliere erba nella proprietà di un ricco marchese. A Domenico Tiburzi venne inflitta una multa di 20 lire: in risposta ad una cifra considerata allora sproporzionata Tiburzi uccise un guardiano e si dovette darsi perciò alla macchia. Venne poi arrestato e condannato a 18 anni di prigione, di cui ne scontò soltanto 3, grazie ad un’evasione, in seguito alla quale si diede al brigantaggio nelle terre maremmane. Inizia così la storia del brigante Domenico Tiburzi che divenne il paladino della ribellione ai ricchi proprietari terrieri, imponendo loro una tassa in cambio di protezione. Il denaro ricavato veniva donato in parte alle famiglie di briganti uccisi e cin parte ai contadini più poveri.
Alla sua morte, avvenuta per mano di un carabiniere nel 1896, venne deciso, dopo il rifiuto del parroco di Capalbio di seppellirlo in terra consacrata e a seguito delle proteste dei cittadini, che venisse sepolto sul confine: le gambe all’interno del cimitero mentre la testa e il torace (quindi l’anima) fuori. Ed è lì che ancora oggi giacciono i resti di un uomo leggendario. Attualmente il cimitero si è esteso e non sono più presenti le tracce del cancello che segnava il confine: a richiamare alla memoria la tomba di Domenico Tiburzi è una targa in legno che ne ricorda la data di nascita e di morte. La targa è posta sull’antica colonna romana dove, dopo la sua morte, il brigante venne legato e fotografato.
“Vi canterò di un nobile brigante che questa terra un giorno dominò,
fu nominato Re della Maremma e per trent’anni il regno suo durò
Fece tremare il cuore dei signori
E a chi mancava il pane lo portò Domenico Tiburzi era il suo nome
E nelle notti tristi e senza luna
Col suo fucile stretto sopra il cuore
Sfidava la tempesta e la fortuna
Si dice che una sera alle Forane
Mentre felice con gli amici sta scatta l’agguato e non si salverà
Così nel camposanto fu portato
Per metà nel terreno consacrato per metà nell’eterna perdizione”
Nel 1996 Paolo Benvenuti, regista toscano, realizzò un film dedicato alla vita di Domenico Tiburzi. Questo è il canto che viene intonato all’inizio della pellicola.
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